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                risarcimento del c.d. danno “tanatologico” in tempi di crisi
                
                a
                cura dell’Avv. Rosanna G. Bisceglie   
                
                  
                 
                 La
                Corte di Cassazione, con la sentenza 8 aprile 2010, n. 8360, ha
                riconosciuto in capo ai parenti
                
                 della
                vittima di un incidente il diritto al risarcimento “a titolo
                ereditario” del c.d.
                danno tanatologico, che consiste nella sofferenza
                patita dal defunto a causa di lesioni fisiche alle quali è
                seguita dopo breve tempo la morte.
                
                 
                 
                 La
                suddetta sentenza ha affrontato il caso di un agricoltore
                colpito da una scarica elettrica proveniente da cavi ad alta
                tensione che si erano intrecciati con i rami dell’albero sul
                quale stava
                
                 lavorando.
                La morte della vittima non è stata immediata, ma è
                sopraggiunta dopo circa mezz’ora,
                
                 mentre
                l’infortunato si trovava a cavalcioni su di un ramo,
                impossibilitato a muoversi per effetto
                
                 dell’elettrocuzione.
                
                 
                 
                 Con
                specifico riguardo a detto danno “tanatologico”, la
                Suprema Corte ha affermato che il giudice, in sede di
                liquidazione dei danni, possa «correttamente
                riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della
                sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche,
                alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia
                rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della
                fine».
                
                 
                 
                 In
                tal modo, viene colmato il vuoto di tutela determinato dalla
                giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte
                immediata o intervenuta a breve distanza dall’evento lesivo,
                il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita,
                mentre lo ammette per la perdita della salute quando il soggetto
                è rimasto in vita per un tempo apprezzabile al quale lo
                commisura.
                
                 
                 
                 Una
                sofferenza psichica siffatta, caratterizzata da massima
                intensità ancorché di durata contenuta, deve essere risarcita
                come danno morale, non essendo suscettibile di degenerare in
                patologia e dare luogo ad un danno biologico in ragione del
                limitato intervallo di tempo tra lesione e morte.
                
                 
                 
                 Il
                giudice, pertanto, in sede di quantificazione della somma dovuta
                a titolo di risarcimento dei danni morali per sofferenza
                psichica, deve personalizzarne la liquidazione tenendo conto
                anche del c.d. tanatologico, ove i danneggiati ne facciano
                specifica e motivata richiesta e le circostanze del caso
                concreto ne giustifichino la rilevanza.
                
                 
                 
                 La somma liquidata a ristoro dei danni morali in favore dei parenti
                della vittima, quindi, deve comprendere sia l’importo dovuto iure
                haereditario per le gravi sofferenze patite dalla vittima
                prima della morte, sia i danni morali subiti iure proprio dai
                superstiti, a causa della perdita del rapporto parentale.
                
                 
                 
                 La
                decisione in commento si inserisce nel solco giurisprudenziale
                tracciato dalle note sentenze delle Sezioni unite nn. 26972 e
                26973 dell’11 novembre 2008, con le quali la Suprema Corte, da
                un lato, ha ricondotto i danni risarcibili nell’ambito della
                classificazione bipolare stabilita dal codice civile (danni
                patrimoniali ex art. 2043 e danni non patrimoniali ai sensi
                dell’art. 2059), definendo le distinzioni elaborate da
                dottrina e prassi (danno biologico, danno per morte, danno
                esistenziale, ecc.) alla stregua di mere categorie descrittive
                delle diverse modalità con cui si realizza il danno non
                patrimoniale; dall’altro lato, ha precisato che, nel procedere
                alla quantificazione ed alla liquidazione dell’unica voce
                “danno non patrimoniale”, il giudice deve tenere conto di
                tutti gli aspetti in cui il danno si atteggia nel caso concreto.
                
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